“I remember you well in the Chelsea Hotel ” : photos of those who were talking so brave and so sweet ……
NEW YORK – AROUND THE MIDNIGHT foto di Gerald Bruneau.
(Le fotografie della mostra on-line sono in vendita).
Essere stati a NY city. Sì, bisogna esserci stati. Ma in un preciso momento, quando era la porta di una dimensione impercettibile, tra terra e cielo. Quando l’arte, come uno fluido vivo, sciolto, presente ovunque e in nessun luogo, scelse Manhattan per precipitare come un meteorite illuminando una dimora con un indirizzo dove tutti ne potessero onorare il culto e incontrarne gli araldi: Chelsea Hotel 23rd Street NY, NY. Tutti conoscono lo spazio dove si incrociavano le coordinate del pensiero creativo verso un punto di convergenza totale, nel quale persone straordinarie, eccessive, maledette e elette si incontravano per attingere alla fonte di una nuova ispirazione.
Leonard Cohen ha immortalato questo posto con la sua canzone: “I remember you well in the Chelsea Hotel, you were talking so brave and so sweet…” parlando di una sua breve storia di sesso con la compianta Janis Joplin, avvenuta proprio nelle stanze di un luogo noto, presso cui tutti si sarebbero registrati prima o poi. Henry Miller, insediatosi nell’albergo dopo la separazione con Marilyn, vi scrisse “The Chelsea affect”. Insieme a lui, altri illustri ospiti furono Charles Bukowsky, Patti Smith, Sid Vicious, Bob Dylan.
Arthur C. Clarke partorì qua “2001: Odissea nello spazio”. E, ancora, ci furono Edie Sedgwick della Factory, Nico, Viva che era una delle muse di Andy Warhol, Candy Darling… Nel ’53, Dylan Thomas stava per lasciarci le penne per essere entrato in coma al suo diciottesimo straight whisky, dichiarando di avere battuto il record personale. Vivere, creare e morire: tutto al Chelsea Hotel.
Anch’io ho avuto la fortuna di varcare fisicamente la porta del Chelsea Hotel. Era il 1974. Potrei battezzarlo come l’anno dell’ingresso iniziatico nel mondo della libertà senza limiti, dell’eccentrico, dell’euforia, del piacere, di una percezione sensoriale svincolata da schemi precostituiti…. e, perché nasconderlo (?), anche della droga. Slanley Bard, manager dell’hotel, disse una volta: “Chi passa di qua ha un temperamento emotivo che si discosta dalla gente normale. Al Chelsea abbiamo capito questo.” E capii che per me non era così diverso.
Il Chelsea Hotel col suo stile gotico-vittoriano incarnava la quintessenza newyorkese nel mondo. Tutti gli artisti vivevano e creavano sotto uno stesso tetto. Una sorta di comunità artistica. E io mi divertivo a passare di camera in camera a frequentare e fotografare questa gente, tra famosi e meno famosi, rampanti e falliti. Quell’”ultimo paradiso” – “Last Paradise” avrebbero detto i frequentatori – era la mia base fissa ogni volta che andavo a New York.
Amavo perdermi nella città insonne, cercando di catturare la vita nel più profondo dell’animo umano, immortalando ascesa e caduta dalla grazia di tutti quegli abitanti dei sogni. Fotografavo soprattutto di notte, perché era allora che angeli e demoni uscivano allo scoperto per mostrarsi ai miei occhi. Li fissavo così sulla pellicola per far vedere al mondo cosa stesse accadendo nel nucleo ribollente di Sex, Drug and Rock’n’roll. Realizzai un memorabile servizio fotografico per Vogue. Incontrai soggetti particolari: i fratellini Dupont costantemente sotto l’effetto del Popper, una droga di quel tempo; Ted Bowery e sua moglie, leader delle Block Faces, Merrillee e Rachel che erano – ricordo – due disegnatrici di gioielli simili a sculture, conosciuti al pubblico con il brand Mercura; Dion, stilista e designer di corsetti; Shizo, ex componente della band di Nina Hagen che imperversava nei club più underground della città sempre accompagnata dal produttore e ‘schiavo’ Umberto. Un milieu del fermento artistico. Alcuni personaggi vissero nelle stanze dell’hotel per anni: una trentina d’anni ad esempio Alpheus Cole, allievo di Benjamin Constant (quando lo incontrai era un centododicenne – mica poco, cavoli!) o Virgil Thomas, che compose il Lord Byron. Altri vi rimasero una decina d’anni, come Alan Cohen, musicista conosciuto sotto il nome di Aloid. scrittore e produttore di space music. Tutti erano per i miei occhi, e ora per i vostri occhi, testimoni di un mondo irripetibile e ineguagliabile per sfrontata provocazione e cazzuta creatività come non ne vedrete mai più in certi personaggi che – ahimè – non tornano.
Gerald Bruneau