Giuseppe Casetti “IDENTIFICAZIONE”

Libreria-galleria  il museo del louvre Roma 31 gennaio – 1 marzo 2008 mostra a cura di Achille Bonito Oliva, catalogo della mostra edito da “Il museo del louvre” con  testi di Achille Bonito Oliva e di Giuseppe Casetti.

Foto di turno

La fotografia è uno strappo della pelle dalla realtà. É l’incontro di uno sguardo oggettivo, neutrale ed impersonale, con un oggetto o con un soggetto. È il ritaglio dalla continuità delle cose di un dettaglio. E’ una sezione, una finestra entro cui, come in un’inquadratura, abita l’oggetto inanimato o la persona che respira. L’occhio fotografico è uno sguardo che tende a porsi in un rapporto di frontalità. Nel caso delle Identificazioni, l’occhio fotografico adotta il linguaggio della fotografia a pieno titolo e imprime al soggetto identificato la capacità di rappresentazione fisiognomica. Il ritratto di soggetti, in questo caso criminali, porta ad un’identificazione in quanto il punto di partenza è costituito dalla foto segnaletica. La foto segnaletica è un elemento che sviluppa non un’interpretazione del soggetto, ma piuttosto una sorta di descrizione fenomenologica. Essa appartiene di diritto ormai alla storia dell’arte, in quanto con l’Iperrealismo ma finanche con la Nuova Oggettività tedesca (linguaggi pittorici sviluppati l’uno in Germania l’altro negli Stati Uniti a distanza di pochi decenni), è possibile comprendere come la neutralità della fotografia sia stata assunta dalla manualità del pittore. In questo caso, l’occhio fisiologico e l’occhio meccanico coincidono ed utilizzano uno stile costante che possiamo rintracciare in fondo a ciò che gli inglesi chiamano “Rogues gallery”, schedario criminale fotografico. Questa galleria di furfanti, dunque, rappresenta un popolo di cosiddetti criminali utilizzando o un’immagine frontale o le “gemelle” (la foto di profilo e quella frontale). In ogni caso la galleria di furfanti sembra totalmente impostata sotto l’ottica di un’unica poetica, la stessa adoperata da Warhol e basata sull’impersonalità, sull’oggettività e sulla neutralità. Tre caratteri rintracciabili sistematicamente in queste immagini in bianco e nero di uomini e donne. L’identificazione, dunque, non vuole essere tanto di tipo psicologico: l’occhio meccanico della fotografia non vuole essere una sonda dell’anima, ma una sorta di circumnavigazione voyeuristica dei tratti del volto del soggetto o della figura intera. Notiamo come la frontalità dell’immagine fotografica non crei turbamento nel soggetto fotografato. Il soggetto si cosifica, assume l’immobilità della cosa, oggetto animato le sotto lo sguardo fotografico entra in apnea, sospende la vita, blocca la sua presenza al centro dell’inquadratura. Le immagini sono sempre costruite in maniera simmetrica, non esiste sbilanciamento o vertigine, non esiste stato d’animo che buchi o impietosisca l’occhio meccanico della fotografia. Il soggetto cosificato sospende il respiro e restituisce rassegnato, come una sindone, la propria immagine a futura memoria dell’archivio giudiziario. Volti che appartengono ad una normalità fisiognomica, altri travolti da qualche malformazione, tuttavia tutti appartenenti ad un panorama umano di anonima inespressività. L’anonimato diventa quasi il referente del contesto a cui questi soggetti appartengono: una società di massa di diseredati, una quantità di umanità vista frontalmente dallo sguardo non allegro e nemmeno punitivo, ma assolutamente obiettivo della giustizia. In queste foto non c’è giustizia, non c’è sentimento. C’è volutamente il mediocre dito del fotografo di turno che scatta la foto senza nessun impeto e orgoglio estetico, unicamente per adempiere al proprio lavoro. Il fotografo professionale della questura, evidentemente, potenzia al massimo il proprio sguardo burocratico: importante per lui decapitare il soggetto, inquadrare la testa nello spazio della visione per consegnare un modesto bianco e nero a chi di dovere. Noi raccogliamo in questa galleria di furfanti, dunque, una fascia media d’umanità battuta dalla sorte, e accanto a questa mettiamo insieme delle prove. Gli utensili, i veri e propri strumenti del crimine che vengono fotografati secondo un ottica duchampiana. Infatti, se per i soggetti, uomini e donne, giovani e vecchi, prevale l’ottica e l’estetica di Andy Warhol, nella fotografia riguardante gli oggetti, invece, prevale l’ottica duchampiana del ready-made, dell’oggetto bello e fatto che si trova ad avere un funzione diversa rispetto a quella abituale: l’ascia che avrà forse decapitato una persona; il martello che, invece di essere utilizzato per costruire una armadio, avrà fracassato un cranio; il giravite che, invece di compiere un giro virtuoso per sistemare una porta, avrà magari scassinato una banca; il paio di guanti che, invece di proteggere le mani, sarà servito a non lasciare impronte. Ecco gli oggetti presentati sotto i nostri occhi in una ricoscibilità di fatto, ma impiegati per una funzione altra. Che cos’è il ready-made? Un oggetto bello e fatto estratto dal suo sistema funzionale e destinato ad un altro uso. Ecco i furfanti rappresentati con gli arnesi da lavoro, ovvero con oggetti a doppio uso, in questo caso rifunzionalizzati, restituiti alla logica produttiva del crimine, dell’atto vietato. Infine, se da una parte possiamo affermare che l’occhio fotografico statisticamente registra i volti e i soggetti, gli oggetti e gli utensili del crimine, dall’altra possiamo notare come, alcune volte, si arrivi ad una sorta di fotografia di paesaggio che documenta migliaia di pacchetti di sigarette di contrabbando sequestrati come in un’opera di Warhol, come nelle scatole “Brillo”. E ancora, pile e pile di televisori trafugati ci riportano inevitabilmente alle video-installazioni di Nam June Paik. Dunque, l’occhio fotografico è destinato a rimanere dentro il recinto codificato dell’arte contemporanea. Ogni tanto quest’occhio abbandona la frontalità della foto segnaletica o della foto di identificazione di soggetti e di ricognizione di oggetti, e assume l’assonanza cinetica del cinema. Foto di atti di violenza, scassinamenti di banche, furti, scene del crimine “live”, in diretta, dove il fotografo diventa un inviato speciale nella realtà della Mala. Interessante anche registrare la prossemica, la distanza che si crea tra l’occhio fotografico e la scena del crimine. É sempre presente una distanza di sicurezza che, poi, è la stessa distanza che il pubblico assume nel contemplare l’opera d’arte.

Achille Bonito Oliva

1 Avvertimento                                                                                                                        Ho voluto pubblicare un’ antologia minima di foto segnaletiche giudiziarie, scelte tra le migliaia esposte, una accanto all’altra nell’installazione dal titolo “Identificazione”, dal 24 gennaio al Museo del Louvre in via della Reginella 26. Fisionomie di uomini e donne che nella loro individualità hanno i segni di un destino tragico, che mostrano pulsioni da rendere dannata per sempre una vita. I loro sguardi ci confidano un dolore senza redenzione e non ci permettono di soffermarci a guardarli: possiamo solo sbirciare questi volti per non essere coinvolti nella tragicità dei loro percorsi emotivi. Migliaia di facce non più isolate, ma elencate una accanto all’altra, come una carta da parati per coprire un muro, ormai moltitudine, si cancellano, diventano altro. Tali fisionomie trovano, ora, la loro redenzione nell’avvalersi di stilemi interpretativi diversi: quello iconografico ad esempio, che ci fa avvicinare quella visione d’insieme solo “esteticamente”. Accanto a questi “riconoscimenti facciali”, si trovano le foto della refurtiva, degli strumenti del crimine, delle scene del delitto che non servono più a informarci, ma che si espongono e vibrano tutte insieme come degli ex-voto. Queste facce, questi strumenti cambiano la loro specificità e diventano Lavoro, Opera, Identificazione d’Umanità.

2.Comunicazione                                                                                                                      Nel rispetto del diritto alla riservatezza, e della tutela della dignità personale, ho preferito per le foto segnaletiche pubblicate sul catalogo della mostra coprire gli occhi dei volti con un segno nero.                                                  Giuseppe Casetti

Il Garante per la protezione dei dati personali.                                                     “Sul corretto uso dei dati personali. Le foto segnaletiche: anche se esposte nel corso di conferenze stampa tenute dalle forze dell’ordine o comunque acquisite lecitamente, tali fotografie non possono essere diffuse se non in vista del perseguimento delle specifiche finalità per le quali sono state originariamente raccolte (accertamento, prevenzione e repressione dei reati). Inoltre, anche nell’ipotesi di evidente e indiscutibile “necessità di giustizia o di polizia” alla diffusione di queste immagini, «il diritto alla riservatezza ed alla tutela della dignità personale va sempre tenuto nella massima considerazione». Tali principi – più volte ricordati dal Garante – trovano conferma in diverse circolari emanate dalle forze di polizia, oltre ad essere richiamati, con riferimento alla generalità dei dati personali, nell’art. 25, comma 2 del Codice privacy.”                                                    Giuseppe Casetti

b) Alla diffusione di queste immagini, «il diritto alla riservatezza ed alla tutela della dignità personale va sempre tenuto nella massima considerazione». Tali principi – più volte ricordati dal Garante – trovano conferma in diverse circolari emanate dalle forze di polizia, oltre ad essere richiamati, con riferimento alla generalità dei dati personali, nell’art. 25, comma 2 del Codice privacy.                                                                                                          L’obiettivo è quello di sempre: trovare un punto di equilibrio tra il diritto di cronaca e il diritto di ogni persona ad essere rispettata, nella sua dignità, nella sua identità, nella sua intimità.

7) il Garante ribadisce il già noto divieto di pubblicare le foto “segnaletiche”, fornite dalle forze dell’ordine per scopi di giustizia. Ma si deve notare che ciò non impedisce affatto di pubblicare “altre” immagini dei soggetti indagati od arrestati (purché acquisite lecitamente). Il diritto di cronaca va ribadito anche qui, pur sapendo che la legge prescrive “canoni di liceità e correttezza”, sempre in base al criterio della “essenzialità, pertinenza e non eccedenza”

1a)Si è recentemente espressa l’Autorità Garante per la Privacy che, in relazione a circostanziate vicende giudiziarie, ha avviato un procedimento per accertare specifiche responsabilità in merito alla diffusione di foto segnaletiche, che si caratterizza come attività di natura illecita ove non suffragata da comprovate e giustificate necessità. Tanto premesso, si richiama l’attenzione delle SS.LL. sulla ineludibile esigenza che vengano scrupolosamente osservate le disposizioni dettate nella specifica materia, con preghiera di verificarne l’assoluto rispetto e di procedere in modo rigoroso nei casi di riscontrate violazioni.                                                                     Il Capo della Polizia                                                                                                      Direttore Generale della Pubblica Sicurezza                                                                  De Gennaro

3.Informazione  ITALIANO

Justice &Police (Museo del Crimine)Aperto nei weekend 10.00 – 17.00 Tutti i giorni a gennaio. Chiuso Venerdì Santo e Natale Cnr Phillip & Albert Sts Circular Quay Nsw 2000 Australia                                                                            Ospita una mostra di foto segnaletiche, casellari giudiziari e armi appartenute a criminali o raccolte su scene del crimine dalla polizia. Questa stanza si basa sul Police Museum del 1910, un museo non progettato per il pubblico, ma per istruire nuovi agenti sui comportamenti dei criminali.