Paolo Di Paolo “Il mio Mondo”.

Nella libreria-galleria  il museo del louvre dall’8 marzo al 2 aprile 2016  Paolo di Paolo “Il mio Mondo”mostra a cura di Giuseppe Casetti. Catalogo con testi Di Ermanno Rea, Bruce Weber e Silvia Di Paolo.

(le fotografie sono in vendita).

 In occasione dei 50 anni dalla chiusura del settimanale “Il Mondo” di Mario Pannunzio, si inaugura l’8 marzo 2016 presso lo spazio romano di Giuseppe Casetti ( il museo del louvre ), in Via della Reginella 8a, una mostra dedicata a Paolo Di Paolo.

Paolo di Paolo dal 1954 al 1966 è stato il fotografo più pubblicato su Il Mondo, un settimanale di politica e cultura fondato e diretto da Mario Pannunzio, realizzando interpretazioni fotografiche di avvenimenti legati alla cultura, alla politica e all’arte di quel periodo

Pannunzio, colto e raffinato giornalista nato a Lucca nel 1910, da padre molisano, un avvocato socialista, e da una nobildonna di origini inglesi, giovanissimo aveva collaborato con Leo Longanesi nella redazione di Omnibus, il settimanale che avrebbe rivoluzionato l’editoria italiana e da cui sarebbero derivati tutti i periodici illustrati nazionali. Le innovazioni più rilevanti apportate da Longanesi nella struttura di Omnibus si manifestarono con l’adozione di un formato insolito per un settimanale (tabloid) e rinnovando gli schemi grafici e in particolare l’uso della fotografia, sganciata da un ruolo subalterno rispetto ai testi, dei quali, fino al 1937, aveva avuto una funzione meramente probatoria degli avvenimenti narrati.

Pannunzio aveva nella redazione di Omnibus il ruolo di critico cinematografico e, nella pratica, di caporedattore formandosi quell’esperienza che gli consentirà di affrontare impegni di maggiore responsabilità alla vigilia degli anni quaranta, quando insieme con il coetaneo e conterraneo Arrigo Benedetti fonderà “Oggi”, altra testata non fortunata (durata appena poco più di un anno), ma che fu il laboratorio sperimentale dal quale derivarono l’Europeo (1945) diretto da Benedetti e il Mondo (1949) diretto da Pannunzio.

Entrambi gli allievi di Longanesi svilupparono del loro maestro il gusto e l’eleganza grafica e, soprattutto, l’uso ancor più rilevante assegnato alle immagini fotografiche, definitivamente assunte come strumenti di narrazione autonoma. In sostanza, in una pagina in cui appariva un articolo di Benedetto Croce o di Gaetano Salvemini poteva campeggiare una fotografia che non doveva necessariamente avere riferimento ai testi ai quali era affiancata. Fu la formula che determinò il successo del settimanale di Pannunzio, nel quale i più evoluti fotografi dilettanti italiani, oltre che i professionisti, cominciarono a intravedere una palestra per esprimere ambizioni che fino a quel momento non avevano trovata possibilità di essere valorizzate.

Infatti Gaio Garruba, i fratelli Nicola e Antonio Sansone, Paolo Di Paolo, Enzo Sellerio, Mario Dondero, Pablo Volta, tanto per citarne qualcuno, divennero fotografi grazie all’ambizione di pubblicare su Il Mondo, ma rivendicarono sempre uno spirito dilettantistico che, a loro giudizio, era la molla più efficace per stimolare la loro creatività e per adeguarsi alle esigenze, non contenute, di Pannunzio.

Paolo Di Paolo infatti, sostiene ancora oggi che la difficoltà maggiore per rendere gradita a Pannunzio una fotografia non era unicamente il suo aspetto estetico, ma una serie di elementi che dovevano confluire in quella che, nella visione del crociano direttore de Il Mondo, si identificava nell’unità della forma e del contenuto.

Per tornare a Paolo Di Paolo al quale è dedicato questo ricordo, prima di munirsi di macchina fotografica nel 1953, aveva studiato filosofia, fraterno amico di Lucio Colletti. Mancavano pochissimi esami alla tesi su Kant, relatore il professore Scaravelli della normale di Pisa, quando si innamorò di una Leica III C, esposta nella vetrina di un ottico che aveva sede nello stesso palazzo in cui egli lavorava come capo redattore di una prestigiosa rivista turistica. Quella Leica III C gli fece abbandonare i tomi di Kant e la rivista prestigiosa.

In compenso una volta cessata la pubblicazione de Il Mondo, Di Paolo apprese da un approfondito studio di Massimo Cutrufo che lui risultava, con 573 immagini, il fotografo maggiormente presente sulle pagine del settimanale di Pannunzio, tanto da non fargli rimpiangere di aver appeso la Leica al tradizionale chiodo, proprio all’indomani della chiusura de Il Mondo, l’8 marzo 1966. Quel giorno infatti Di Paolo telegrafò a Pannunzio: “Per me e per alcuni miei colleghi fotografi oggi muore l’ambizione di fare questo mestiere”.

Alla libreria-galleria il museo del louvre dall’8 marzo al 12 aprile sarà possibile visionare una selezione antologica della produzione di Paolo Di Paolo apparsa su Il Mondo.

Io e il fotografo Paolo di Paolo.

Io e il fotografo Paolo di Paolo.

Tanti anni fa, verso la fine degli anni novanta, la mattina alle prime ore dell’alba a Porta Portese incontravo spesso a rovistare tra le bancarelle un anziano signore e a forza di incontrarci la domenica davanti alle stesse bancarelle venni a sapere che cercava documenti, riviste, fotografie che riguardavano l’Arma dei carabinieri. Così capitò di vendergli dei documenti molto rari del periodo dell’occupazione di Roma da parte del nazismo.  Dopo quel nostro primo rapporto quell’anziano signore venne a farmi visita nella mia libreria con un regalo. Era una foto di Pasolini a Monte dei Cocci. Quel regalo fu una vera sorpresa e subito pensai che quella fotografia l’avesse trovata tra le bancarelle di Porta Portese. In quell’occasione mi disse che lavorava come ricercatore di materiale iconografico per il Comando Generale dei Carabinieri e che quei documenti erano stati molto apprezzati dal generale dell’Arma. Ci furono altre occasioni di vendita sempre a quell’anziano signore che un giorno tornò a farmi visita ancora con un regalo, era una fotografia che ritraeva il bel volto di Ezra Pound con una dedica: “A Giuseppe la stima di Paolo Di Paolo”. Quel signore si chiamava Paolo Di Paolo e c’era la sua dedica impressa con un pennarello verde sulla fotografia. Questa volta non c’era ombra di dubbio, quella fotografia non l’aveva trovata su una bancarella ma quell’anziano signore ne era l’autore. Quel regalo suscitò la mia curiosità e gli chiesi notizie del suo passato di fotografo. Mi rispose infastidito che non gli andava di parlarne perché non voleva essere scambiato per un “paparazzo”. Alla mia insistenza per conoscere il suo lavoro con il tempo fu più disponibile e mi disse di rivolgermi a suo figlio per vedere le fotografie di quegli anni. Con il figlio si creò subito una simpatia e insieme cominciammo ad aprire quelle buste che custodivano le fotografie e su ogni busta c’era segnato il titolo del servizio fotografico. Leggevo i titoli a voce alta scritti a penna: Simone Signoret e Yves Montand 1956, Monica Vitti e Michelangelo Antonioni 1958, Anna Magnani nella sua villa a San Felice Circeo 1955, Charlotte Rampling 1956, Marcello Mastroianni e Faye Dunaway 1957, Pier Paolo Pasolini Monte dei Cocci 1960 e tanti altri servizi che mi scorrevano davanti gli occhi. Da quelle buste cominciammo a scegliere le fotografie che avrei preso in deposito e facemmo una lista con accanto il prezzo della vendita e così cominciai a metterle sul mercato dopo che per tanti anni erano rimaste volutamente nell’oblio. Quelle fotografie ebbero un tale successo che un mio amico critico dell’arte mi consigliò di farne una mostra ma l’anziano signore non voleva saperne e mi ripeteva come un mantra: “Non voglio essere scambiato per un paparazzo”. Aveva il terrore di quel passato, quasi che volesse nasconderlo a se stesso e agli altri.  Intanto le fotografie avevano successo soprattutto tra gli stilisti del mondo della moda: Alessandra Facchinetti, Frida Giannini, Maria Grazia Chiuri, Alessandro Dell’Acqua, Giambattista Valli e i collaboratori di Alessandro Michele ne comprarono per farne soprattutto dei regali.

Un giorno la mia amica Ala D’Amico venne in libreria con il fotografo americano Bruce Weber di cui era assistente. Con Bruce Weber grazie alla sua squisita gentilezza si creò subito un clima gioioso che si può gustare attraverso gli scatti che ci facevamo a vicenda insieme a Giosetta Fioroni. Poi ci fu un momento gioioso quando il fotografo Bruce Weber regge una bianca tela con la scritta: “I am a real artist” che gli copre una parte del corpo.  Poi Nan interrompe quella scena gioiosa mostrando a Bruce un faldone contenente le fotografie dei suoi attori preferiti : Marcello Mastroianni, Giulietta Masina, Monica Vitti, Michelangelo Antonioni, Pier Paolo Pasolini erano le foto di Paolo Di Paolo che Bruce oltre alle numerose foto trouvè volle acquistarle e non c’era una volta che veniva in Italia e passava al museo del louvre che non ne comprasse qualcuna per aggiungerle alla sua collezione. Andando via mi disse che avrebbe voluto vivere lì indicandomi il museo del louvre. (Le fotografie di Paolo Di Paolo acquistate da Bruce Weber a Roma alla galleria “il museo del louvre” sono state pubblicate nel libro “All American” di cui è autore ed editore, costituendone il corpo centrale).

Un giorno quell’anziano signore mi stupì ancora con il suo ingresso nella libreria al grido: “l’8 marzo sono sessanta anni che Il Mondo di Mario Pannunzio ha chiuso i battenti e io voglio ricordarne la memoria”. Quelle parole stavano a significare che quel signore, anzi il fotografo de “Il Mondo” Paolo Di Paolo si era deciso ad esporre per quell’anniversario le foto che aveva pubblicato su quel settimanale. Così a 60 anni da quella data Bruce scrive nel catalogo della mostra al museo del louvre  “Paolo Di Paolo Il mio Mondo” (8 marzo-12 aprile 2016 a cura di Giuseppe Casetti con testi di Ermanno Rea , Bruce Weber e Silvia Di Paolo): “ Un paio di anni fa Nan ed io camminavamo per via della Reginella, a Roma insieme con la nostra amica Alessandra D’Amico che ci faceva da Guida e ci spiegava che quello era stato il quartiere ebraico, divenuto poi ghetto durante la seconda guerra mondiale: Entrammo in una piccola galleria chiamata “il museo del louvre” dove incontrammo il proprietario Giuseppe Casetti e Giosetta Fioroni, la sua artista preferita. Parlammo di fotografia e intanto guardavamo la stanza piena di stampe di Francesca Woodman. Uscendo insieme a Giosetta fuori per la via per farle un ritratto fummo presto circondati da mamme, bambini e cuochi con i loro grembiuli. Nan mi raggiunse per mostrarmi, ammirata, alcune foto dei miei attori e registi preferiti che aveva trovato nel negozio di Giuseppe: Marcello Mastroianni, Giulietta Masina, Monica Vitti, Michelangelo Antonioni, Pier Paolo Pasolini, Luchino Visconti, Vittorio De Sica e tanti altri. Dietro ad ogni foto c’era lo stesso nome: Paolo Di Paolo. Da quel momento ho avuto la fortuna di entrare in possesso di molte altre sue foto, divenute parte della mia collezione”.

La mostra fu un successo inimmaginabile grazie anche al contributo di Silvia Di Paolo che riuscì a far superare la soglia del museo del louvre a quella classe imprenditoriale, di industriali, professionisti e di gente nota che non aveva mai messo piede ai miei vernissage frequentati fino ad allora per lo più dal popolo che amo: proletari dell’arte, inventori e filosofi perditempo, vagabondi delle stelle, flaneurs.

Ci fu un altro avvenimento con protagonista Bruce Weber fotografo e regista, (tra i tanti suoi film e corti da ricordare il documentario del 1988 “Let’s Get Lost” basato sulla vita del jazzista Chet Baker), quando il 21 marzo 2019 nella libreria il museo del louvre  iniziarono le riprese del documentario “ The Treasure Of His Youth, the photographs of Paolo Di Paolo” con la regia di Bruce Weber che il 23 marzo 2021 sarà proiettato alla Festa del Cinema di Roma in cui  io racconto il mio incontro con Paolo Di Paolo e tutto il mio lavoro durato anni per dare valore ad un fotografo fino allora dimenticato.

Vari anni dopo quella mostra venne al museo del louvre insieme a Silvia di Paolo una “impiegata” di Gucci che voleva vedere quel “piccolo negozio” (sono parole sue), dove c’era stata la mostra di Paolo Di Paolo, e dalle sue parole si poteva intendere che Gucci, con la mostra al Maxxi “finanziata” dalla casa di moda che ci sarebbe stata da li a pochi mesi, ci teneva a voler essere il detentore della scoperta del fotografo de “Il Mondo”. Rimasi basito da quel tentativo molto “provinciale” e tutto “romano” ma impossibile da realizzare a causa della pubblicazione anni prima del catalogo della mostra: “Paolo Di Paolo Il mio mondo” e dell’articolo di Pietro Lanzara apparso sul Corriere della Sera il 3 aprile 2016 dal Titolo: “Un Mondo di foto”.      

Il 17 aprile 2019 Al Maxxi Museo Nazionale delle arti del XXI secolo si inaugura la mostra “Paolo Dio Paolo. Mondo perduto” a cura di Giovanna Calvenzi, Main Sponsor Gucci.  Nel comunicato stampa si legge: In mostra oltre 250 immagini, ritrovate per caso da sua figlia Silvia in cantina, una ventina d’anni fa.1 Nel catalogo della mostra scrivono: Alessandro Michele, creative director Gucci e Silvia Di Paolo.  Il testo di Alessandro Michele è il seguente: “And yet I only fortuitously came across Di Paolo’s work at the Museo del Louvre, a bookshop cum gallery in Rome that just happened to be selling off some of his photographs. My curiosity did the rest….”, mentre Silvia Di Paolo scrive: “About twenty yea rs ago I was rummaging through my parents’ cellar looking for a pairof skis when I noticed a chest of drawers and a shelf crammed with orange boxes marked Agra.” They were packed with negatives and photographic prints. Then there was a filingcabinet, with an alphabetical list of incredible names of artists, writers, actors…Istarted opening the boxes and I was astonished by the prints. Ecstatic, I ran to my father. “Dad, I found a collection of photos in the cellar.What are they? Who took them? What are they doing in the cellar?” He softly replied, “They’re mine.

Mi dispiace contraddire Alessandro Michele, ma lui non ha mai messo piede nel museo del louvre, … me ne sarei accorto perché è impossibile non notarlo! Le foto di Paolo Di Paolo giravano nel mondo della moda perché molti stilisti miei clienti incominciavano ad apprezzarle e le compravano per fare dei regali. Sicuramente Alessandro Michele una sbirciatina su qualche foto l’avrà data! Lo stilista ha il merito di aver amplificato la risonanza delle foto di Paolo Di Paolo, dopo tre anni dalla mostra al museo del louvre. Così va il mondo! Ma la leggenda creata da Silvia Di Paolo che trova circa venti anni fa le foto del padre in cantina, certo fa un bell’effetto, ma le cose sono andate diversamente da quello che lei lascia intendere. Il mio rapporto con i Di Paolo è stato inizialmente solo con il figlio, con cui ho scelto nell’archivio le foto di Paolo Di Paolo, le ho stimate e cominciato a venderle. Sia il fotografo che la figlia non se ne erano mai interessati. Il fotografo non ci teneva a far conoscere il suo passato non voleva saperne e mi ripeteva come un mantra: “Non voglio essere scambiato per un paparazzo”. Aveva il terrore di quel passato, quasi che volesse nasconderlo a se stesso e agli altri. Silvia Di Paolo l’ho incontrata nello studio quando improvvisamente, dovendo portare il ricavato delle vendite al fratello, subentrò lei. continuando insieme al fratello, poi completamente nascosto, a scegliere e prendere in deposito le fotografie da vendere.  Il 23 ottobre 2021 alla Festa del Cinema di Roma, all’Auditorium c’è stata la proiezione di “ The Treasure of His Youth: The Photographs of Paolo di Paolo”, un film-documentario che Bruce Weber   ha dedicato al fotografo nato a Larino. Recandomi a quell’evento ero fiducioso che la verità sarebbe emersa cancellando quella che è diventata una leggenda metropolitana raccontata da Silvia Di Paolo. Chi ha scoperto e divulgato il lavoro del fotografo Paolo Di Paolo si evince dal testo di Bruce Weber: “Paolo Di Paolo un nostro amico a Roma”, nel catalogo della mostra del marzo 2016: “Paolo Di Paolo Il mio Mondo” organizzata al museo del louvre. Nel film documentario del regista ricompare quell’immagine stantia dell’italiano spaghetti e mandolino e la canzone “Sciuri, sciuri, sciurìte  tuttu l’annu…” dove   Weber  riesce a far sentire l’odore della “bella porca di Ariccia co un bosco di rosmarino in de la panza” nella  scena del fotografo di Larino, mentre riceve nel giardino della sua villa il regista e la sua troupe offrendo porchetta e mortadella.  La stessa immagine dell’Italia degna del testo di Ernesto De Martino “Sud e magia” compare quando riprende il povero Di Paolo nell’esilarante racconto dei primi mesi di vita, narrando che il medico del paese gli suggerì un bagno nel vino per salvarlo dalla morte prematura. Con mia sorpresa quanto ho raccontato durante le riprese del film non compare e, il mio racconto, diviene soltanto un bell’elogio alla figura aristocratica di Di Paolo, senza evidenziare lo sforzo di chi lo ha tolto dall’oblio. Di Paolo ha assunto notorietà grazie al mio lavoro, nonostante la resistenza del fotografo che mi recitava come un mantra “non voglio essere scambiato per un paparazzo”. Invece tu Bruce, hai fatto la volontà di Gucci che ci teneva a cancellare la mostra al museo del louvre nel 2016 assecondando la richiesta dell’“impiegata” di Gucci, accompagnata nella mia libreria da Silvia Di Paolo, di nascondere il reale svolgimento dei fatti facendo apparire Gucci lo scopritore dell’artista. Mi hai deluso!

Il 24 ottobre 2021 nell’edizione romana del Corriere della Sera nell’articolo di Stefania Ulivi si legge: È stata l’ostinazione della figlia Silvia che scoprì l’archivio di negativi e schedari di stampe Agfa nel seminterrato di casa («Ero scesa a cercare i miei sci. All’epoca avevo vent’anni, lui non ce ne aveva mai parlato»). E, almeno all’inizio, non fu felice di farlo. «È stato difficile convincerlo», racconta Silvia.

Grazie ancora a quell’articolo si perpetua la leggenda inventata dalla figlia di Paolo Di Paolo, così chiesi ad una mia amica che lavorava nello stesso giornale di farmi avere l’indirizzo e-mail della sua collega. Non ricevetti nessuna risposta a quella mia richiesta; le scrissi nuovamente ricordandole che non avrei fatto il suo nome, mi bastava semplicemente l’e-mail per far conoscere alla giornalista dell’articolo la verità nascosta da Silvia Di Paolo. Ancora una volta non ricevetti risposta. Rimasi deluso, deluso soprattutto dalla mia amica.

Tempo dopo, quando la ferita si era rimarginata, la mia amica comparve davanti l’uscio della mia libreria insieme ad una sua collega per comprare un regalo. Il suo comportamento garbato, non lasciava ombra di dubbio, la sua buona educazione borghese, non lasciava trasparire nessun imbarazzo.

 Comprato il regalo ci salutammo con un gran sorriso.

Ricomparve tempo dopo sull’uscio della libreria, con tutt’altro spirito. Ruppe il silenzio scusandosi anche dopo averle detto che era acqua passata. Poi improvvisamente mi disse che non potevo mettermi in polemica con Gucci perché il noto marchio italiano comprava al Corriere intere pagine pubblicitarie.

Le risposi che il compito dei giornalisti è informare il rispetto della verità sostanziale dei fatti e che devono essere rettificate le notizie che risultino inesatte, e riparare agli eventuali errori. a tutela della persona umana.1

Tempo dopo ricevetti un suo messaggio: “Sempre sulle nuvole tu”.

P.S.

Talk ore 20.15 martedi 22 giugno mast auditorium (dopo la proiezione del Film di Bruce Weber) Incontro con Paolo Di paolo e Bruce Weber modera Michele Smargiassi
Vent’anni fa, l’archivio di Paolo Di Paolo è stato casualmente riscoperto da sua figlia Silvia, che ha gradualmente assunto il ruolo di archivista e agente. Nel 2019, i suoi sforzi sono culminati nell’apertura della prima mostra della carriera del fotografo al Museo Maxxi di Roma – intitolata Mondo Perduto – e nella pubblicazione della sua prima monografia.

Per un senso profondo di giustizia ho provato a reagire a quella leggenda inventata da Silvia di Paolo “del suo ritrovamento in cantina delle foto del padre”, mandando delle e-mail  a quei girnalisti che negli anni avevano scritto delle recensioni delle mostre svolte al museo del louvre di via della Reginella informandoli  di come si erano svolti i fatti. Ma non c’è  peggior sordo di chi non vuol sentire o finge di non sentire o di non capire quello che gli viene detto.

Errata Corrige (di un testo destinato alla pubblicazione in un giornale)

1 Uno dei precetti etici del giornalismo:

La pubblicazione della rettifica è un obbligo di legge (art. 8 legge 47/1948 sulla stampa), ma sul piano deontologico il giornalista deve provvedervi autonomamente senza attendere l’impulso della parte lesa dalla diffusione di “notizie inesatte”.

Sul corriere.it  leggo: Sin dalla fondazione nel 1876 crede nel valore primario dell’informazione, ha aderito al Trust Project. Si tratta di una iniziativa internazionale che coinvolge centinaia di testate in tutto il mondo e punta a chiarire da subito la credibilità e l’autorevolezza di un contenuto giornalistico. Per farlo, assegna una etichetta riconoscibile sulla base standard uniformi e condivisi. 

 

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