Dall’ulbum fotografico di “Federico Ferrero (1866-1967), un secolo di foto di Famiglia”

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Descrizione

 

 

 Dall'album fotografico di "Federico Ferrero (1866-1967), un secolo di foto di famiglia", 240 fotografie b/n di vario formato (per vedere le fotografie accedi al link:https://www.ilmuseodellouvre.com/2017/03/03/federico-ferrero-un-secolo-di-foto-di-famiglia/#more-13875)

                             IL MITICO ZIO FEDERICO

Federico Ferrero ( 1896 – 1967), nato più di un secolo fa, dalla nonna Gina e dal Barone Augusto Ferrero era già diventato mitico in famiglia prima che arrivassimo noi nipoti. Bisogna sapere che lo zio Federico all’età di pochi mesi, a causa di una di quelle febbri perniciose che all’epoca non avevano ancora un nome, era diventato completamente sordo. Malgrado questo, era riuscito a imparare a parlare, in italiano naturalmente, e poi addirittura in tedesco e inglese. Poi aveva imparato ad andare in bicicletta: capaci tutti i bambini, si dirà. Certo, ma non quando sei sordo e proprio per questo ti manca l’equilibrio; infatti era sempre pieno di lividi e di cerotti, ma rimontava in sella. Poi, primo ragazzo in Italia con quell’handicap, era riuscito a laurearsi in ingegneria, grazie al costante sostegno ricevuto in famiglia dalla nonna Gina e dal Nonno Barone, e a una volontà evidentemente di ferro. Ma soprattutto, fin da adolescente era stato preso da una passione totale: quella per la fotografia.E così, dall’inizio del novecento, prima con una fotocamera a soffietto, poi con modelli sempre più progrediti, e sviluppando e stampando da sé, il mitico Zio Federico ha documentato con una costanza che non è mai mancata negli anni e con bellissime fotografie in bianco e nero, tutta la storia della famiglia: matrimoni, nascite, sorelle e fratelli, noi nipoti e i pronipoti nostri figli, artisti di passaggio e intellettuali amici, gite con mariti e fidanzati. Case: quella della nonna Gina e del barone Ferrero a Santa Marinella; quella di campagna a Cellore, vicino a Verona. Quella di Roma a Piazza Paganica. Un paio di episodi divertenti per ricordare che tipo era. E che io ricordo bene, anche se ero ancora un bambino.Il primo: un giro per Verona, appena liberata dai tedeschi, e in macerie per i bombardamenti, con lo Zio Federico, nei pressi della semidistrutta stazione di Porta Vescovo, sorvegliata da un paio di sentinelle. Noi nipoti e la nonna fermi sui bastioni, mentre lo zio si dirige verso un convoglio ferroviario mitragliato, la sentinella che prima grida : “Altolà”, poi imbraccia il moschetto e lo punta sullo zio che, naturalmente, non aveva sentito niente. La nonna che ferma il militare, cerca di spiegargli la situazione, e poi manda me di corsa a recuperare il sordo. Per fortuna il soldato era italiano e non tedesco, altrimenti saremmo rimasti senza zio. Il secondo, che era un’abitudine dell’estate: le cene sotto il grande cedro nel giardino. Tutti intorno al tavolo, con solo una candela a illuminare fiocamente la compagnia. Lo Zio Federico fra noi, che mangiava, i gomiti puntati sul tavolo. Quando qualcuno voleva parlargli, si battevano tre colpi sul legno; lui, coi gomiti, riconosceva la direzione delle vibrazioni, puntava sulla bocca dell’interlocutore una pila elettrica: “Cosa c’è, cosa c’è?” con la sua pronuncia gutturale, e poi leggeva le labbra e rispondeva a tono. Se n’è andato dopo qualche anno. E’ rimasto il suo mito e questa grande quantità di documenti: “Un secolo di foto di famiglia”.

Il nipote Stefano Torossi