“Parco Lambro 1976. La festa … nuda e cruda Milano. 27 giugno 1976”

fotografie di Giuliana Bonacci copyright

(le fotografie della mostra on-line sono in vendita)

La Sesta Festa del Proletariato Giovanile è stata organizzata da Re Nudo e dai suoi circoli, dal Partito Radicale, da Lotta Continua e da altri raggruppamenti minori. Il festival è durato quattro giorni, dal 26 al 29 giungo, e vi hanno partecipato circa 200.000 persone, con punte massime di affluenza la prima e la terza sera (tra i 70 e i 100 mila presenti): sono cifre da capogiro, senz’altro attendibili, che danno il quadro d’una manifestazione davvero unica e che spiegano i contrasti sorti a un certo punto tra gli stessi partecipanti e, d’altra parte, le difficoltà incontrate dall’organizzazione. Le tessere d’ingresso valide per quattro giorni costavano 1.000 lire e ne sono state vendute almeno 20.000 (come mi è stato riferito l’ultima sera): per la maggioranza si è trattato comunque di un festival gratuito.
Già nei giorni precedenti l’apertura della Festa, migliaia di giovani con tende e sacchi a pelo avevano invaso il parco trovandosi indubbiamente a disagio per la mancanza di servizi igienici, di acqua potabile, di cibo a prezzi politici, di assistenza Questi inconvenienti si erano già verificati l’anno passato e il forte aumento degli intervenuti li ha resi ancora più gravi.

Sabato 26

Arriviamo verso le 20. La gente è veramente tantissima. Acquistiamo le tessere e ci dirigiamo verso il prato grande lungo un vialetto pieno di bancarelle che vendono di tutto, artigianato, bigiotteria, incenso, strumenti musicali, eccetera; arrivati ai grandi stand alimentari dei grandi gruppi organizzatori, entriamo nella sinistra del prato, in fondo al quale è situato il parco principale (in posizione simmetricamente opposta rispetto all’anno scorso).
Tantissime anche le tende, sia dove siamo ora sia al di fuori dell’area del festival; è un enorme accampamento. Tra gli alberi e i cespugli risuonano a tratti tenui e delicate note di flauti e chitarre o il tambureggiare di bonghetti marocchini: è il “pubblico” che fa musica per conto proprio intorno a un falò o davanti a una tenda. Torniamo al prato grande: l’amplificazione non è ancora a punto, mentre gli spettatori sembrano essere ulteriormente aumentati. Dobbiamo girare a lungo prima di trovare uno spazio per sedersi sull’erba con una buona visuale del palco. Alle 23 finalmente si comincia: l’ingrato compito di aprire il primo spettacolo musicale del festival tocca al cantautore Gianfranco Manfredi, che presenta tre pezzi accompagnato da un piccolo gruppo. L’acustica non è un granché ma ci si deve accontentare. Segue Ricky Gianco con la lunga descrizione di “Una amore”, con “Mangia insieme a noi” e “Questa casa non la mollerò”: reazioni contrastanti. Arriva poi Eugenio Finardi con il suo gruppo (Lucio Fabbri chitarra elettrica, violino; Paolo Franchini, basso; Roberto Haliffi, batteria; Sebastiano, percussioni) e le cose cominciano a cambiare.
Nacchere rosse, una numerosa formazione campana, dopo aver precisato di essere un collettivo di dilettanti, presenta un trascinante e colorito “Alli uno li puverielle” cui fa seguire altri due pezzi; purtroppo comincia a piovere e parte degli spettatori decidono di sfollare. Un violento temporale impedisce a Napoli Centrale di suonare; si esibiscono più tardi i siciliani Taberna Milensis e riprende di nuovo la pioggia.

Domenica 27

Un amico mi telefona entusiasta per riferirmi del successo che hanno avuto il giorno precedente, nel prato piccolo (si fa per dire), i massaggi, gli esercizi collettivi di yoga, i dibattiti sull’alimentazione, il tutto all’insegna dello slogan “Riprendiamoci il nostro corpo”. Intanto, però, comincia a manifestarsi una certa tensione in quella scombinata cittadina che è sorta in pochi giorni nel Parco Lambro (pare che i residenti fossero almeno 20.000). Tre radio libere milanesi, Milano Centrale, Monte Stella, Canale 96, tramite un ponte radio allestito da quest’ultima, trasmettono dei collegamenti in diretta dalla Festa: le notizie non sono buone. Conflitti tra femministe e alcuni partecipanti al raduno (maschi, naturalmente), uno spettacolo degli omosessuali interrotto bruscamente da un gruppetto di oppositori, e infine, verso sera, l’episodio più grave: viene saccheggiato un camion di viveri dell’organizzazione. Alle 21 un temporale peggiora le cose. Quando arriviamo sul posto piove ancora un po’: si sta esibendo Veronique Chalot, dolce folk-singer francese ben coadiuvata da una formazione affiatata. L’affluenza è molto diminuita, ma le melodie vagamente celtiche – adatte alla nuvolosa serata- vengono apprezzate dai presenti. È un bel momento che l’amplificazione rende bene. Arrivano i vocalizzi di Jenny Sorrenti subito dopo l’intimista Patricia Lopez. Gli Agorà, con il loro semplice e rilassato jazz-rock, riscaldano l’ambiente. Un nuovo acquazzone, a mezzanotte, alontana parte del pubblico; poi si presentano i Lyonesse nella nuova formazione a quattro e infine Napoli Centrale in scena fino alle 2 del mattino.

Lunedì 28

La giornata inizia male. Le discussioni e gli scontri all’interno del festival si fanno più accesi fin dalla mattina; poi alcune decine di incoscienti tentano di assaltare un supermercato presso il Parco Lambro, la polizia spara dei candelotti lacrimogeni e il gas arriva fino alla tendopoli suscitando comprensibile panico. Si diffondono voci allarmistiche secondo cui le forze dell’ordine vorrebbero sgombrare l’area della festa, e nel pomeriggio comincia un’assemblea generale dei partecipanti alla manifestazione. La riunione assume dimensioni enormi (migliaia di persone). Il dibattito verte sulla gestione della manifestazione: per ore si alternano al microfono del palco grande oratori spesso in contrasto tra loro; pesanti critiche vengono rivolte all’organizzazione ma anche ai gruppi spontaneistici il cui comportamento violento ha accresciuto la tensione. Si propone la sospensione immediata del festival, ma alla fine (è già sera) è approvata la mozione dell’organizzazione per la ripresa del programma normale. Verso le 22 e 30 comincia a suonare il gruppo di Don Cherry (ospite Tony Esposito alla batteria), di fronte a una folla enorme. All’inizio gli ipnotici ritmi africani, i canti tribali, gli occasionali assoli di tromba del grande jazzman faticano a riscuotere l’attenzione del pubblico, ma dopo due o tre pezzi, si compie un piccolo grande miracolo: decine di migliaia di persone, finalmente coinvolte, dimenticano i contrasti della giornata e si mettono a battere le mani a tempo e a cantare in coro. S’accendono innumerevoli fiammelle e si ascolta finalmente partecipi ed uniti una musica semplice serena e affascinante. Dopo tanto discutere, si placa l’animosità e subentra un – non evasivo- rilassamento. Grazie a Don Cherry e ai suoi musicisti, grazie al fascino d’una musica antica e insieme nuova, calda e suggestiva, viviamo il momento più bell odella grande manifestazione. un trionfo.
La femminista Daniele Cambio, voce esile e chitarra, viene accolta con simpatia; il Canzoniere del Lazio riporta eccitamento con un’esibizione sanguigna e ricca di colori in cui il “free” si fonde efficacemente al folklore meridionale. Quindi Roberto Cacciapaglia, La Strana Officina, Pino Masi, i Jumbo. Si finisce tardissimo.

Martedì 29

Con Don Cherry sembra essere tornata la tranquillità. Non cessano le discussioni, né tantomeno i disagi degli accampati, ma i toni sono smorzati e c’è più voglia di costruire che di distruggere. Nel pomeriggio nuova grande assemblea, altro importante momento di verifica, di proposta e – perché no – di contestazione. Questi ampi dibattiti hanno chiarito le idee, favorito gli scambi d’opinione, mostrato quali fossero le contraddizioni, e le incomprensioni all’interno d’una massa così eterogenea e così vasta.
Alla sera s’inizia al solito molto tardi (gli orari degli spettacoli sono sempre stati assurdi; non si capisce per quali motivi si dovesse iniziare in genere dopo le 22 per finire alle 4 o alle 6 del mattino) con i facili ritmi di Bambi Melodies. Poi Alberto Camerini, voce e chitarra, e i Sensation’s fix. Proiezione sullo schermo grande a fianco del palcoscenico (usato soprattutto per riprendere e ingrandire in diretta i musicisti durante lo psettacolo) del film “Il fantasma del palcoscenico”. Poi Pepe e la musica delicata del suo piccolo gruppo, Claudio Rocchi e forse qualcun’altro. Alle 2 sul prato piccolo inizia una rappresentazione del Living Theatre. La festa si chiude con Toni Esposito, ottimamente ricevuto, e con gli Area che

Questa è la cronaca. Ma quest’anno la Festa del Proletariato Giovanile ha offerto molto di più della musica e degli slogan dei vari gruppi organizzatori. È stato terreno di scontro e d’incontro, momento di concretizzazione delle aspettative e delle incertezze d’un movimento che coinvolge centinaia di migliaia di persone. Bisognerà riparlarne per tracciarne un bilancio a mente fredda.

Daniele Caroli

P.S. Gli Area eseguono Caos parte II/L’internazionale e partecipano alla jam session collettiva finale